Romolo

Lei cavalcioni sopra di te, movimento circolare uniforme, finestra aperta ma tapparelle abbassate, non c’è aria condizionata, il monolocale è buio ma su un piano rialzato che affaccia direttamente sul viale, perciò dalle fessure entra la luce dei fari delle macchine che non si vedono, sembra di essere sospesi nel nulla circondati da un faro scomposto tipo ciambella con un buco attorno a cui rotola una biglia gigante di luce per confondere le navi che salpano da Troia, e voi siete proprio dentro quel buco, tutte le cose si muovono in dio, lei sta venendo sopra di te, la biglia di luce passa di fronte alla finestra ogni tot e spara dardi giallastri sui vostri corpi, il rumore della metro che passa sotto il letto attraversa la stanza come un pornospettro che vi congela per un istante in quelle pose spinte alla Bernini, tu provi a tapparle la bocca ma lei si eccita ancora di più, dice che se stai tu sopra la schiacci, o meglio, non te lo dice, ma se ti metti sopra di lei inizia a pigolare come un pulcino sotto una ruota, e ti fa senso ora che ci pensi, ti ricorda l’uovo che hai rotto stamattina, sono usciti due tuorli, le piume di due pulcini, due pulcini gemelli strapazzati ti solleticano le pareti interne dello stomaco, continua non fermarti, fa lei interrompendo il tuo pensiero, e ti lecca e mordicchia un pollice, tu glielo infili in bocca, ti chiedi quando finirà il suo orgasmo perché tu sei già venuto da un pezzo e non vedi l’ora di staccarti da lei, ti amo, le dici, così magari si sbriga, e in effetti lei ansima di più, così provi a fare un ultimo sforzo senza pensare al pulcino sotto la ruota, a tutti i pulcini che hai ucciso negli ultimi anni, a tutte quelle semisfere rosse di vita infranta nel pentolino antiaderente, a tutti quei fratelli che avrebbero potuto scannarsi da soli, creare il mito di loro stessi, e invece no, tu dovevi fare colazione, rimanere in pari con la dieta iperproteica concepita dal tuo istruttore di crossfit, per cui hai riempito di uova il frigo antidiluviano della Toshiba e da un po’ mangi solo quelle, te le porti anche in ufficio, a settembre potrai permetterti l’upgrading di una casa migliore, fatturi alacremente, ma verso mezzogiorno hai già fame, tiri fuori la schiscetta e divori due uova sole come le tette mozzate di una statua venuta male, quel male che ti ossessiona ormai da settimane e che vedi in ogni cosa da quando hai cominciato a desiderare di fare sesso con i maschi, coetanei ma anche ragazzi più giovani, e lei non sa nulla, nessuno sospetta nulla, armadio ariano quale sei non potrebbero mai scambiarti per un frocio e nemmeno per un bi curioso, eppure ora nella metro quando vai al lavoro guardi più i maschi delle femmine, perfino i lacci delle scarpe, la forma delle labbra, quello che c’è scritto sulla maglietta, la consistenza delle mani che afferrano l’iPhone, e ogni volta ti sembra di tradirla perché vorresti essere quell’iPhone, ti prego continua ci sono quasi, e tu le infili altre due dita, poi basta, ci manca solo che ti vomita addosso, tre dita tue sono già molto impegnative per lei, che è una bella biondina, ma non si può pretendere troppo dalla sua bocca, immagini cosa potrebbe darti la bocca di un maschio mentre passi i polpastrelli sui suoi canini, sulla mucosa destra e poi sulla sinistra, ci giochi, lei ti stringe più forte dentro di sé, passa la metro e vi congela così, mentre lei viene e burrosamente si accascia, ma tenendoti dentro, i capelli sparsi sul tuo petto sanno di pesca sciroppata, quella della mensa dei salesiani, mai creduto in dio, o meglio, ci credi solo quanto basta per poterlo odiare quando ti fa comodo, ho fatto un sogno, dice lei, e tu le accarezzi la schiena con il dorso delle dita ancora bagnate, più che un sogno un incubo, state insieme dall’ultimo anno di liceo, quindi ormai sette anni, ti sembra un’eternità, se l’eternità potesse essere misurata con un numero quello sarebbe il sette, vuoi che te lo racconti, cosa, l’incubo, la biglia di luce passa dietro le tapparelle schizzando sul tuo sguardo giallo riverso sulla finestra chiusa ma aperta, lei si sistema ancora più dentro di te, perché sente che ti stai ammosciando e non ti vuole perdere, ti vuole dentro mentre racconta, è un suo vizio, ma in confronto al tuo ti sembra un’inezia, con il tempo siete diventati sempre più maiali, vi siete svezzati a dovere provando tutto quello che c’era da provare, o almeno, a te sembrava di aver provato tutto con lei, che guarda dall’altra parte, in direzione del frigorifero stracolmo di uova, la spia rossa accesa indica qualcosa di sbagliato lì dentro, ma la vede solo lei, la biglia rotola via e vi ritrovate al buio, per altri sette minuti, per l’eternità, insomma nell’incubo sono in macchina, su una vecchia Panda grigia in autostrada, ma tu non guidi, lei si ferma, alza la testa, ti guarda, tu rimani con gli occhi fissi sulla finestra, certo che guido fa lei, e da quando, ti ricordi quella volta tornando dal mare, sì certo mi ricordo, al casello hai fermato la macchina troppo presto e ti sei dovuta spingere fuori fino alla vita per prendere il biglietto, allungando la mano verso la finestra fai una faccia buffa imitando lei che ce la mette tutta per raggiungere il biglietto, dai, ride, smettila, ti tira uno schiaffo per scherzo, allora tu fai una faccia ancora più esagerata per simulare lo sforzo di lei imitando la sua vocina sotto la pioggia, ragazzi scusatemi non vedo più il biglietto, ridi anche tu, lei ti afferra il naso, e tutti e quattro i finestrini andavano su e giù perché con le gambe premevi, ma ti manca l’aria, questa sua tattica del naso funziona sempre, devi respirare con la bocca, io guido benissimo, fa lei incrociando i talloni a mezz’aria, e come vedi sono più forte di te, vi guardate, ti arrendi, la sua domanda sembra cercare qualcosa di più di un semplice sì, tu hai la bocca aperta, un ricciolo dei suoi capelli sciroppati ti sfiora il labbro inferiore, passa la metro e vi congela così, tu muovi la testa come per dire okay hai vinto tu, lei molla la presa e ti bacia le narici, e comunque avrò pure allagato la macchina ma vi siete divertiti tutti, siamo vivi per miracolo, dici dandole un bacio a stampo, lei ritorna con la guancia sul tuo petto a guardare la spia rossa del Toshiba, e strusciandosi i talloni sulle caviglie ricomincia a raccontare, insomma sono su questa vecchia Panda grigia in autostrada, a un certo punto sbando, vado fuori strada e un gruppo di ragazzi mi viene incontro e, vedi che pure in sogno non sai guidare, lei ti tira una botta nello stomaco, sfarfallio di pulcini, tu ridi, la finisci di interrompermi o no, tu allora con le dita di prima scegli una ciocca dalla sua nuca e inizi ad arrotolarla, e quindi questi ragazzi, be’ mi sembrano a posto e mi dicono che se scendo con loro le scale del mulino, un mulino a vento alto e bianco con le pale nere arrugginite, posso trovare un telefono e chiamare un carro attrezzi, e poi, lei si è fermata, come se cercasse di ricordare o si fosse pentita di aver iniziato quel racconto, erano degli assassini e ti hanno fatto a pezzi, no peggio, fa lei, senti che lei ha cominciato a spostare una parte non organica di te da quando è andata fuori strada nel sogno, e quindi me lo vuoi dire o no, lei sospira, ti accarezza il bicipite, c’è una festa, una festa come, sul mare, ballano come in discoteca ma sul Bolero di Ravel, e c’è anche un telefono bianco a parete, mai visto uno così, una specie di cubo con un touchscreen e un affare di metallo per parlare, in realtà non chiamo il carro attrezzi, chiamo te, senti che una lacrima le scivola sul viso e poi cade sul tuo pettorale sinistro, ehi le dici, si può sapere cos’è successo, metti una gamba tra le sue, l’abbracci, la biglia di luce passa rischiarando istantaneamente la tua gamba che schiaccia il corpo di lei come un pulcino sotto la ruota, dietro di me c’è un pendolo, quando tu dici pronto scocca la mezzanotte e i ragazzi si trasformano in vampiri, rieccoci con quella serie, pensi, avrà visto qualche puntata senza di me, no non è quella serie te lo giuro, forse non è la prima volta che ti legge nel pensiero, è terribile, i ragazzi si trasformano in vampiri, mi legano a una cassapanca, tu continui a dire pronto pronto pronto, loro prendono una tua cravatta dall’armadio, quella azzurra Calvin Klein, mi bendano con quella, sento le onde e i loro sospiri e i denti, ovunque il sale notturno del mare, non riesco a svegliarmi, la tua voce scompare.

L’Inesistente
Credits: Jean-Michel Basquiat [detail] https://www.fondationlouisvuitton.fr/en