Es verdad; pues
reprimamos
esta fiera condición,
esta furia, esta ambición,
por si alguna vez soñamos;
y sí haremos,
pues estamos
en mundo tan
singular,
que el vivir sólo es soñar;
y la experiencia me enseña
que el hombre que vive, sueña
lo que es, hasta despertar.
Pedro Calderón de la Barca, La vida es sueño, 1635
Aomame scende dal taxi in piena tangenziale. È pericoloso, ma lei se ne frega. Non ha tempo; anzi, ha fretta. Ha un appuntamento importante con la morte. Cammina con nonchalance attraverso le auto bloccate dal traffico. Vestiti firmati e passo elegante che non lascia trapelare un frammento di nervosismo. La passerella, benché stretta, obliqua e senza la parvenza di un tappeto rosso, è tutta sua. Sembra una boutique ambulante che non si cura di niente e di nessuno, se non del suo obiettivo: raggiungere la scala di emergenza dove troneggia un’insegna della Esso con tanto di tigre sorridente che suggerisce metti una tigre nel motore. Potrebbe essere un segnale. Forse quello è il posto giusto, ma non c’è tempo per mettersi a pensare a eventuali connessioni simboliche: lei deve percorrere quella scala fino ai suoi abissi e riemergere chissà dove. Ci sarà pure una stazione metropolitana, qualcosa che la porti al più presto sul luogo dell’imminente delitto.
Aomame è una massaggiatrice di professione e un’assassina per vocazione. Lavora soprattutto per un’anziana ricca donna filantropa – che aiuta donne vittime di violenza sessuale facendo fuori i loro carnefici in seconda persona – alla cui dimora ogni tanto si reca per alleviarle i dolori della vecchiaia con il tocco magico delle sue dita. Aomame, la giapponesina sexy di Murakami Haruki, uccide con un sistema particolare: ha inventato un congegno, simile a un rompighiaccio con un tappo di sughero in cui infila un ago dalla penetrazione fatale. Sceglie un punto preciso, è chiaro: grazie alle sue doti, alle sue conoscenze maniacali del corpo umano e di tutte le sue parti, sa esattamente dove l’ago deve infilarsi: è un punto dietro al collo, la vittima muore in pochi secondi senza neanche versare una goccia di sangue, un arresto cardiaco lo porta all’altro mondo.
Già, l’altro mondo. Ma quale mondo? Aomame è ruzzolata nella tana del bianconiglio con eccessiva disinvoltura, e ora si ritrova in un mondo che è sempre lo stesso ma è diverso: un mondo con due lune, dominato dai Little People e in cui tutti, in un modo o nell’altro, sono coinvolti in una specie di profezia macabra inevitabilmente foriera di guai. Aomame è entrata nel 1Q84.
1Q84 non è un universo parallelo. Non è una metafora. 1Q84 è il regno dell’accadere. Ogni azione produce un significato. Ogni cosa è drammaticamente reale. Non è un sogno. Non basta stropicciarsi gli occhi, farsi una dormita e al risveglio è tutto come prima. Murakami scrive una detective story in un guazzabuglio di suggestioni letterarie, rovesciando l’assunto di Calderón de la Barca: la vita non è sogno, ma il sogno è la vita. E in questo sogno, che è vita, in questo sogno dove le persone muoiono e in cui vengono continuamente messe in discussione dinamiche esistenziali, sono coinvolti una serie di personaggi alla prese con un enigma insolubile. I Little People ricordano gli abitanti della Lilliput di Jonathan Swift o, se vogliamo, i sette nani di Biancaneve e Fukaeri, una bellissima diciassettenne dislessica che prova a raccontare la loro storia, ricorda Biancaneve.
I Little People, ad ogni modo, dominano questo regno. Non sono né buoni né cattivi, seguono semplicemente le loro regole, o meglio, i loro bisogni: per loro è necessario avere un tramite, un perceiver in grado di ascoltare le loro voci, e un receiver in grado di raccontarle, ma non a tutti, perché certe cose devono rimanere segrete per non guastare l’equilibrio del mondo. I Little People costruiscono crisalidi d’aria, sgraffignando fili bianchi e sottili dall’atmosfera che li circonda e intrecciandoli insieme minuziosamente. Non è chiaro perché lo facciano, si sa solo che ciascuna crisalide d’aria contiene una daughter, copia di una mother – le due lune sono la rappresentazione grafica del fenomeno. Probabilmente questa è la loro strategia di conquista dell’universo o, perlomeno, del 1Q84.
L’opera di Murakami, al di là della narrazione in sé e dello sviluppo dei personaggi, è interessante dal punto di vista metaromanzesco. Tre sono gli elementi da considerare: la crisalide d’aria, il sangue e la pistola.
La crisalide d’aria è il testo che Tengo – trentenne insegnante di matematica, aspirante scrittore, il cui destino si fonde indissolubilmente con quello di Aomame – spronato da un editor a caccia di bestseller, decide di porre sotto la sua egida in qualità di ghostwriter al fine di dagli una forma e uno stile fruibile e apprezzabile da un vasto pubblico. Il successo della crisalide d’aria va oltre ogni aspettativa. I Little People si arrabbiano e con loro il Sakigake, la setta religiosa che non desidera suscitare le ire dei Little People. Da qui sorgono problemi di varia natura. Ma ciò che in questa sede preme sottolineare è che Murakami non solo scrive un libro (la crisalide d’aria) nel libro (1Q84): la crisalide d’aria è 1Q84, tra i due testi sussiste un rapporto d’identità; ci sono sempre due lune, i Little People, daughter, mother, perceiver, receiver. E non è una semplice mise en abîme, per cui un romanzo contiene un altro o più romanzi. Nel caso di Murakami, un romanzo contiene un romanzo che è lo stesso romanzo di partenza: è un romanzo che non cessa di scrivere se stesso.
Il sangue è il secondo elemento: per più di milleduecento pagine non scorre un filo di sangue. Eppure la gente viene eliminata spesso, e anche con violenza e consapevolezza. Aomame, ad esempio, uccide perforando con il suo ago senza lasciare traccia. Tamaru – la guardia del corpo della vecchia filantropa assassina – soffoca Ushikawa con una busta di plastica. E lo stesso autore informa: la realtà è il punto in cui se ci si punge un dito con un ago esce del sangue. Ma se sangue non se ne vede, dov’è la realtà?
La pistola è l’ultimo elemento da considerare. Tamaru consegna una pistola ad Aomame citando Čechov, il quale sosteneva che se in un romanzo appare una pistola, questa prima o poi deve per forza sparare. Ma la pistola di Aomame non spara mai. Il romanzo si chiude con Aomame e Tengo che, finalmente riuniti (forse) nel 1984 – dopo aver percorso a ritroso il passaggio della scala d’emergenza – osservano in cielo un’unica luna di carta.
Il confine tra sogno e realtà in Murakami si annulla programmaticamente. Il romanzo perde la sua logica intrinseca: è un cantiere aperto dove si impone il paradosso per cui sia l’autore sia il lettore hanno la facoltà di far accadere tutto ciò che sia in grado di produrre senso, moltiplicando mondi all’ennesima potenza.
L’Inesistente