L’acqua, il sapone e lo sporco

Parto perché ieri sera sono caduto davanti alla mia camera d’albergo e mi sono addormentato con la chiave vicino alla guancia; parto perché ero vestito elegante, ma ero anche ubriaco e russavo e non sono riuscito a svegliarmi, finché la signora delle pulizie non ha strizzato il mocho dall’altra parte del corridoio e l’acqua e il sapone e lo sporco sono arrivati a lambirmi le labbra; ho chiesto se potevo rimanere lì sdraiato ad ascoltare il nulla, ma mi è stato detto che non era un luogo idoneo, quindi parto; ho già comprato il biglietto, credo, e sprecarlo mi pare brutto, come lasciare la sposa all’altare o provare a chiudersi dietro questa porta; parto perché oltre quella finestra vedo che oggi non piove e devo ancora restituirti l’ombrello.

L’ombrello a sfondo rosso con le antenne che mi avevi fatto fare su misura quando andavo all’asilo, lo uso ancora adesso. È piccolo e decisamente stona con tutto il resto. Le mie misure sono cambiate, le mie mani sono troppo grandi per afferrare solo il manico. Se apro l’ombrello, devo stringere anche ciò che rimane del suo corpo, che si è spezzato perché pioveva troppo forte, e mi bagnavo, ma io l’ho riparato tutte le volte, e continuo a bagnarmi, per questo quando non piove e non mi bagno sotto l’ombrello con le antenne, mi manchi; mi manchi e penso sia arrivato il momento di restituirtelo, perché non vado più all’asilo, non ho più un armadietto azzurro con un’antenna su sfondo rosso come distintivo, non decapito più le Barbie per fare un dispetto alle bambine che chiudono il pugno prima che io possa infilare sotto il dito, non mi faccio più il segno della croce quando il suono di un’ambulanza squarcia l’aria e l’aria si riempie di voci moccicose che recitano preghiere antiche, e quelle bucce di pomodoro, quelle della mensa che mi facevano vomitare e correre in giardino a nascondermi nella casetta bianca, non ci sono più.

Cosa hai mangiato oggi? – mi chiedevi quando uscivamo dal cortile di cemento guardandomi i denti ancora macchiati di rosso, anche se sapevi che era una finta e che non mangiavo, o forse mi piaceva solo pensare che ti preoccupassi per me, che ero tutto pelle e ossa, e cercassi di risolvere il problema riempiendomi di vitamine in polvere il succo all’albicocca che non bevevo, perché riconoscevo il trucco esaminando il biberon in controluce come un cocktail avvelenato, e tu mi dicevi di disegnare una ruspa, quella arancione che divelleva il prato del complesso residenziale dove avevamo un appartamento in affitto, e andavi in un’altra stanza e chiamavi qualcuno al telefono e piangevi, e io disegnavo la ruspa e scrivevo un pensierino accanto, lasciando le T senza linee orizzontali, cosicché tu potessi intervenire e correggere lo sbaglio.

Prendo la chiave, una tessera tipo carta di credito ma senza soldi, e la striscio per terra, disegno una T senza linee orizzontali bordata di schiuma – insomma le ho detto che non può stare lì, vuole che chiami un’ambulanza? – la signora delle pulizie dà le spalle alla finestra, al posto della sua faccia c’è un grumo d’ombra – no, la prego, so quello che faccio – lei strizza un’altra volta il mocho e un sommovimento di acqua sapone e sporco cancella la T senza linee orizzontali scivolandomi in bocca, e mi viene da tossire e da sputare e vedo che nella mia saliva ci sono tracce di rosso, devo essermi tagliato con un dente cadendo davanti a questa porta – ha dei familiari da contattare in casi simili? – fa lei, e mi viene da ridere, perché stavo pensando a te, stavo pensando di partire per restituirti l’ombrello, ma mi rendo conto che non so più dove sei – oggi non ho mangiato niente – mi viene da dire, e disegno un’altra T senza linee orizzontali, spostando la schiuma sul pavimento.

L’Inesistente
Credits: Michael Wolf, Paris Rooftops, 2014 [Deichtorhallen Hamburg, 10/02/19]