Ibra è il migliore

Il rumore viene dal corridoio, una specie di urlo, un urlo senza importanza che si perde nell’ora delle luci spente e rimbalza come la pallina di un flipper sfinito tra i carrellini delle garze e delle siringhe in cui sovente gli infermieri inciampano recando in mano qualche catetere stracolmo di libagioni troppo umane nel corridoietto screpolato che separa la sala d’attesa dalla tua stanza, così inutilmente candida nel buio, pensi mentre incastri il braccio in una fessura della finestrella aperta a triangolo, per tirare qualche boccata di sigaretta, fuori l’aria è satura di ventose alveolari, ti penti del tuo gesto ribelle, ma la nicotina è già in circolo, poca ma basta per dare senso a tutto, e pace se la flebo si squarcia, la farai passare per un accesso di isteria o di bipolarismo, una di quelle robe che scrivono nelle cartelle cliniche, perché non possono fare a meno di riempirle, perché i problemi vanno risolti e loro hanno la soluzione, o meglio la cura, e tu sei un pessimo figlio condannato per anoressia e nemmeno frocio, quindi neanche troppo stereotipo, quindi gli stai ancora di più sulle palle, e tu per ripicca ti spegni le sigarette addosso, loro ti chiedono perché, tu rispondi loro di unire i punti e troveranno la mappa del tesoro, le cicatrici circolari sono come piccoli pianeti infernali sul tuo corpo che scompare, nel buio di quella stanza troppo bianca, nel futuro che ti aggredisce alle spalle come l’urlo senza importanza che si perde nell’ora delle luci spente, nello specchio che non vedi oltre il tuo riflesso, ma soprattutto nello schifo di tutte le cose che ti circondano, nel quadernino intonso con il bacio di Klimt in copertina che la tua amica ti ha portato per una pronta guarigione, ad esempio, oppure nel sudore della maglietta in puro acrilico del tuo compagno di stanza, una maglietta da calcio comprata a una bancarella sul mare, indossa sempre quella da quando l’hanno ricoverato lì, dalla notte in cui l’hanno trascinato super ubriaco nella tua stanza perché non ci sono abbastanza posti letto, per via del Covid i matti passano in secondo piano per decreto legge, oppure, più semplicemente, perché le follie si assomigliano tutte, come le famiglie per Tolstoj, ma a differenza della famiglia, la follia non può mai anelare a una parvenza di felicità, e lui dice di essere felice, dice di essere sposato con una figa da paura, tu non gli credi, in generale ascolti il minimo indispensabile, quando ti scuotono e capisci che devi fare qualcosa e quel qualcosa tutto sommato ti sembra fattibile, ma il più delle volte le persone ti passano accanto come ologrammi che muovono le labbra in una preghiera che ha senso solo per loro, e infatti lui già ti ficca Instagram sotto al naso e comincia a raccontarti la sua felicità, ogni tanto strizza l’occhio sinistro, anzi, tutta la faccia sinistra, e non ti sembra un tic, la bocca gli si è ritratta fin quasi al lobo dell’orecchio scoprendo denti nero gialli o mancanti e gengive di cui è meglio tacere, forse ha esagerato con le metanfetamine, puzza di varie cose il suo corpo flaccido sulla trentina mezzo calvo, l’alito sa di spogliatoio, lo spogliatoio dell’anticamera di un obitorio con i cadaveri stipati nei cassetti di metallo, vorresti allontanarlo con un pugno ma a stento riesci a spostarti aggrappato alla flebo, è riuscito a tenersi addosso quella dannatissima maglietta, il mr. cadavere da partita vista al baretto sotto casa perché Sky costa troppo, farà parte della terapia, come svegliarsi tutti i giorni alle sette e mezzo e poi impasticcarsi e poi fare pause per fumare sigarette o giocare a carte guardando nel vuoto e strappare le carte da gioco e bucarsi la pelle con la cima baluginante delle sigarette, fa male e ti piace, ti piace anche fargli credere che siano segnali da Marte, perché Ziggy Stardust non è malvagio, perché ti piace che ti dicano che sei un pessimo figlio, e il resto del giorno lo passi a vegetalizzare nel letto, tutto dolorante di micro crateri rossi, sperando di non svegliarti più, sperando che un infermiere clemente, per errore, ti abbia pompato dentro una quantità eccessiva di sedativi negandoti per sempre la post adolescenza, oppure, in alternativa, ma la prima opzione è senza dubbio la più appetibile, speri di riaprire gli occhi in un universo parallelo intriso di musica stellare polverizzata e altre cose senza senso vagamente più belle di una maglietta sdrucita di Ibrahimovic di quando giocava nel Barça, la numero nove, che mr. cadavere usa per andare a farsi la doccia, almeno così dice, per mangiare il pane e lo stracchino della mensa che sa di ratto trasfigurato in polistirolo spalmabile, Ibra è il migliore dice mentre gli siedi davanti e speri che il cibo gli vada di traverso, la usa come pigiama per le seghe, quella maglietta, si gira di schiena pensando che tu non te ne accorga, ma la maglietta, ammesso che l’abbia mai lavata, nel tempo si è così ristretta che gli si vedono le maniglie dell’amore strabordanti sul materasso, e l’ano, pelosissimo, sembra la tana di un animale oscuro, chiudi gli occhi, l’urlo riprende, più forte di prima, è l’urlo di una donna, la pallina del flipper vorrebbe spaccare tutto, far crollare l’edificio o almeno danneggiarlo significativamente, così nella cartella gli psichiatri potranno scriverci qualcosa di sontuosamente stentoreo, tipo disturbo della personalità, presto le insuffleranno un triplo shot di Rivotril e ciao, si placherà come un angioletto dell’asilo che fa il riposino pomeridiano dopo aver imbrattato carta tutta la mattina, chissà se lei ci è mai andata all’asilo, la proprietaria dell’urlo, chissà dove l’hanno raccattata, la proprietaria dell’urlo, ti pare di riconoscere la sua disperazione, il suono di quella disperazione, per lo meno, quel blatericcio hippie di sottofondo intervallato da acute grida non ti è nuovo, è la donna che implora che a tutti i costi le si compri la crema idratante dal 99 Cents, a gambe incrociate sul divanetto della sala relax che nemmeno igienizzano più, voglio la mia crema, urla paonazza, capelli platino untuosissimi appiccicati al collo e cascanti come alíci piangenti, e vuole solo quella maledetta crema al mandarino, se la sparge sul viso come una gran diva, ma poi le brucia da morire e prova a strapparselo via con le unghie, e ricomincia a piangere, e urla, Ibra è il migliore, dice mr. cadavere giocando a carte con il tizio che non parla mai, ogni tanto un’infermiera gli porta un tè, professore ecco il suo tè, lo beva finché è caldo, lui non lo beve mai, fissa un punto dove le linee di due mattonelle si incontrano, il tè resta lì e si raffredda, spegni la sigaretta e provi a disincastrare il braccio dalla fessura triangolare della finestra, ovviamente la flebo si stacca e del sangue comincia a stillarti dal braccio, gocce si estroflettono come crateri della mappa del tesoro che disegni sulle tue membra rinsecchite, luccicano sul pavimento, le segui come se indicassero un’uscita, poche gocce, di sangue non te ne rimane molto, apri la porta della stanza e c’è la donna diva petulante che sta svegliando tutti caracollando per il corridoio, la mia crema, mi raccomando quella al mandarino dal 99 Cents, giovane, fa rivolgendosi a te, ti prego almeno tu ascoltami, è molto importante, ma tu hai già richiuso la porta alle tue spalle, i segnali marziani ti hanno ingannato, non esiste nessuna uscita, mr. cadavere non si è accorto di niente, la faccia sinistra affonda nel guanciale smaciullata in un ghigno imperituro, meglio così, tornando verso il letto cancelli dal pavimento le sparute tracce del tuo sangue a colpi di metatarso.

L’Inesistente