Sappiamo entrambi che non otterremo nulla di quello che vogliamo l’uno dall’altro, almeno cerchiamo di uscirne con decenza, ti dice lei al tavolino esterno dell’alimentari, all’angolo di quella stradetta afosa con le tapparelle delle finestre che avrebbero bisogno di essere ritinteggiate di verde bottiglia, o meglio scardinate e sostituite con qualcosa di meno vecchio, mi hai sentito, potresti cortesemente lasciar perdere il telefono per cinque minuti, lei si è accorta di non essere felice ma di volerne uscire con decenza, da cosa poi lo sa solo lei, visto che è lei che ha voluto il matrimonio con tutti i crismi, genitori + fratelli + nipotini assortiti + torta con sopra scultura ipercostosa di due figurine allungate tipo Giacometti ma strette in abbraccio flessuoso benché metallico, una torta enorme, extraterrestre, stai ancora pensando alla torta, fa lei, non ci posso credere, ringrazia il cameriere con un sorriso da dama di città che sa come si ringrazia, ti guarda, ti odia, o forse semplicemente ti considera una delle tante penitenze che si è autoinflitta per punirsi della sua tendenza a sopraffare gli altri, a essere tracotante nel senso greco del termine, nata sotto il segno del leone, perennemente in bilico tra una voglia matta di hybris e il sottilissimo piacere di negarsi questo piacere, tutto a dispetto della rigida educazione cattolica della sua famiglia snob campagnola impostata sul non sfidare gli dei e sulla sobrietà in tutto come se non ci fosse un domani, festa di matrimonio a parte, uno strappo alla regola che lei si era concessa per sublimare anni di soprusi esistenziali sulla guarnizione di una torta, scusa io, s’interrompe, abbassa lo sguardo sul decaffeinato, ha scelto quel posto perché è fuori mano, a te non piacciono i posti fuori mano, specialmente se squallidi come quell’alimentari, ma non è la prima volta che tu e lei fate colazione lì, a volte hai preso l’abitudine ad andarci da solo, così puoi startene lì nel tuo abito Hugo Boss e il passeggino accanto senza nessuno che ti rompa le scatole mentre sfogli i titoli della Gazzetta dello Sport, ce la fai a badare tu al bambino oggi, rimani impigliato nella schiuma del cappuccino e compiti mentalmente le parole che hai appena sentito uscire dalle sue labbra non truccate, perché lei non usa trucchi o farmaci, ritenendo che la sua tradizionale tempra pseudocontadina la protegga di default dalle malattie e dalla vanità, lo so che non dovrei chiedertelo, ma tra una mezz’ora devo essere a scuola per i colloqui della maturità e non posso portarmi il passeggino appresso, il bambino ha boccoli biondi e circa mille anni, ti stufa fare calcoli precisi, sei il rappresentante di una catena di hotel e tutto ciò che devi fare è just sit there and look pretty, ovviamente con la cravatta, le cravatte sono accessori eccezionali, sembra che tu sia diverso, ma invece è solo la cravatta, le cravatte sono diventate le tue amanti d’ufficio e ti accompagnano nei viaggi di lavoro, si lasciano toccare ovunque senza lamentarsi, si lasciano piegare come ritieni più opportuno nella retina interna del trolley, sono pazienti come il foglio bianco di Anna Frank e più versatili di Akela, il tuo ex capo scout amante dei giochi di ruolo, incredibile come un accessorio apparentemente futile possa rivelarsi più umano di certi esseri umani, lei invece è vestita da professorina elegante ma non troppo, si sta disintegrando, al di là delle rughe, pensa che la bellezza sia un fatto esclusivamente spirituale, ignorando il fatto che difficilmente la bellezza in quanto spirito possa considerarsi un fatto, te lo chiedo per favore, verso l’una, ma no, che dico, poi ho il webinar in antropologia della disabilitazione evolutiva, disabilitazione, chiedi tu senza pensarci e già te ne penti, ma per fortuna lei non spiega di cosa si tratta, ormai le spiegazioni sono quasi assenti o sbrigative, a stento vi riconoscete quando vi sfiorate nel corridoio di casa, non ricordi più da quanto non fate sesso, forse è stata solo quella volta, quando avevi capito che aveva voglia di una pazzia e l’hai rapita per gioco mettendola su un vagone di prima classe e arrivati a destinazione era già buio a parte la luna, guarda che luna ti ha detto lei, imbrattata di gelato al pistacchio, e tu l’hai baciata sulle labbra, poi hai premuto le tue dita sulla sua nuca e hai infilato una punta di lingua sentendo divampare un fuoco tutt’altro che fatuo nel suo corpo vergine, e lei ha persino riso di gusto quando l’hai portata in camera e vi siete scolati le vodkine del frigobar, lei sdraiata sul letto, tu sulla poltrona Ikea foderata di rosso, avete parlato della luna, quindi lei ti ha lanciato addosso un cuscino eterosessuale, tu le hai sfilato le mutandine ricamate stile fine Ottocento, et voilà, il bambino biondo già raschiava nel suo utero, già era finita, perché lei non voleva bambini prima dei ventotto, prima il dottorato, poi i bambini, in multipli di quattro, una casa nella città degli angeli, il tepore della spiaggia, una posizione accademica prestigiosa, ma, ma cosa, le dici tu, tu pensi di riuscire a tenerlo il bambino, sorridi, lei non lo dice come per dire che non saresti in grado di tenerlo ma in realtà sì, e in ogni caso attraversare con il passeggino una hall pentastellata in direzione dell’ufficio bunker sotterraneo qualche problema l’avrebbe creato, ma tu sei il più bravo lì dentro, non che ci voglia molto, e portando il distintivo del folle a cui più o meno tutto è concesso finché lavora bene, con qualche battuta di spirito e un gruzzolo sempre pronto di sguardi pietosamente ammalianti l’avresti potuta sfangare, senza considerare l’aiuto del bambino biondo che avrebbe scatenato una mitragliata di miao miao che carino da parte delle blatte, le chiami così le colleghe fallinvidiose del bunker, quelle che si vestono di nero per sembrare più smart, quelle che all’inizio fanno le materne e poi ti strappano bustine di veleno alle spalle, il latte in polvere è qui, fa lei mostrandoti il biberon, ecco che ricomincia a spiegare, tu la lasci parlare mentre finisci il cappuccino e ricontempli gli infissi degradati degli edifici circostanti, il bambino si agita e tu capisci che vuole un’altra barchetta di carta da distruggere, mi stai ascoltando, fa lei, tu la guardi e questa volta non sorridi, avevi detto di volerne uscire con decenza, ma da cosa esattamente, le chiedi mentre trasformi il tovagliolino in una barchetta di carta e la porgi al bambino che la distrugge in un nanosecondo e scalcia perché ne vuole subito un’altra, tu prendi meccanicamente un altro tovagliolino e, così lo vizi, dice lei in un sibilo, tu continui a piegare il tovagliolino del bar, alzi lo sguardo e dici, non hai risposto alla mia domanda, quale domanda, fa lei, sai perfettamente che non vuoi il divorzio anche se lo vuoi perché è un sacramento o roba del genere giusto, quindi potresti evitare di, insomma stai rovinando questo momento padrefiglio, ti pare giusto, e porgi la nuova barchetta al bambino, che prontamente la distrugge, lei reclina impercettibilmente la testa e ti fissa, quando fa così ti fa un po’ paura perché ti fa sentire una barchetta di carta sull’orlo dell’oblio, ti asciughi la bocca con un altro tovagliolino, lo stendi con cura accanto alla tazza del cappuccino vuoto, farò io da babysitter oggi, adesso vattene pure tranquilla con la decenza che richiedi, e fai un cenno al cameriere sull’uscio, lei si alza, saluta il piccolo con tenerezza, ma sulle barchette non voglio più discutere, aggiungi, una punta di disapprovazione va a infilzarsi nel tuo bulbo oculare destro e non appena lei, dando le spalle a te e al passeggino, si avvia a passi svelti oltre l’angolo della stradetta afosa, l’occhio inizia a sanguinare.
L’Inesistente
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