Buste di sangue pendevano dal lettino d’ospedale come goccioloni di rugiada aggrappati all’orlo di una foglia troppo secca per ospitarli. Non che il paziente, un ragazzo avvolto nella carta velina verde postoperatoria dalla cui gola uscivano rantoli di agnelli sgozzati, avesse commesso tanti peccati da non meritare un bicchiere d’acqua, ma il dottore, prima di estirpargli la cistifellea, l’aveva definito teppistello trap di buona famiglia con la stupidità tatuata in faccia, nonché pessimo figlio – Lei è un pessimo figlio, lo sa? – ed era stato chiaro, niente favoritismi e, strizzando l’occhio all’infermiera che un tempo si scopava, se n’era andato in pausa caffè.
Avrebbe voluto la sua cistifellea indietro. Barattarla con l’infermiera in cambio di un bonus di non rapimento da spendere con i rettiliani (sapeva che lei, oltre ad aver votato M5S e tifare Albinoleffe, credeva con fervore negli alieni, soprattutto quelli malvagi) o, più semplicemente, poteva offrirle tutti gli anni di vita che gli rimanevano, ammesso che gliene restassero, e non avrebbe detto nulla al dottore, promesso.
Non gli avrebbe detto che l’infermiera e il teppistello trap di buona famiglia non molto tempo fa erano stati insieme, non gli avrebbe raccontato quella sera dopo il concerto, quando lei era venuta a stanarlo in camerino, e quasi senza riuscire a togliersi la tuta rossa l’aveva amato con i catarifrangenti imbevuti di chiardiluna sulla vecchia tastiera rimasta attaccata alla corrente, perché lui prima dei live strimpellava sempre il ritornello di Fly Me To The Moon, che gli canticchiava la madre quando erano soli in casa e fingevano di ballare, prima che la scoperta della malattia del figlio le vegetalizzasse il cervello.
L’infermiera si avvicinò al lettino, premette le labbra sulla guancia tatuata di lui, fissò i suoi occhi strafatti dal dolore e dagli antidolorifici e, spremuta una lacrima incazzata, gli consegnò la cistifellea ancora fresca in un sacchetto per le brioches, uscendo con un vassoio che le nascondeva il pancione già al settimo mese: la rabbia distrugge, ma è anche nutriente.
Il ragazzo, presa ormai la strada del corridoio, non guardava più alle sue spalle, dove sentiva rumore di rotelle e voci di medici confusi che spingevano altre rotelle, forse una brandina simile alla sua, un altro corpo afono e disidratato che sostituisse il suo arrotolato di verde nella stanza che aveva appena lasciato. La testa pesante come un aratro nero parallelo al pavimento piastrellato di bianco lo calamitava verso la fine del corridoio, mentre trasportava il sacchetto delle brioches con entrambe le mani.
Ora che aveva la sua cistifellea indietro, si sentiva finalmente libero: poteva srotolarla e costruirsi delle ali, polverizzare tutti gli sbagli al di qua delle stelle, giocare insieme agli agnelli zombie sulla luna, lasciare che il ricordo delle vorticose pupille di lei risucchiasse i suoi ultimi battiti di verità.
L’Inesistente
Credits: LIFE magazine Special Edition, August 11, 1969