Jeffrey Eugenides – La trama del matrimonio

Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui deve dar battaglia; forse egli potrà dire, bisogna fare questo o quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli non ha ancora deciso, avanza con la solita velocità, e che così è solo un istante quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello.  Così anche l’uomo, se dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l’ha fatto, il che si può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso.
Søren Kierkegaard, Aut-Aut, 1843

Alcune scelte rimangono sospese nei nostri oceani, altre sfidano la corrente o la seguono a colpi vibranti di pinne, altre ancora rimangono aggrappate al fondale come in attesa di una metamorfosi o, semplicemente, prigioniere del nulla. Ed è in questa zona che si compie la trasformazione. Mostri e stelle marine. Ognuno di noi è portato a scegliere in quale entità subacquea convertirsi: è una decisione istantanea che, più o meno consciamente, ci porta a diventare nel tempo.
La vicenda del romanzo di Jeffrey Eugenides, ambientato nell’America dei primi anni Ottanta, verte su tre personaggi principali: Madeleine Hanna, Leonard Bankhead e Mitchell Grammaticus. Le loro vie si intrecciano sempre sull’orlo di una scelta da prendere, e nell’ultima pagina si legano definitivamente (?) in un malinconico nodo.
Madeleine è una tipica ragazza americana, di famiglia ricca, che ama essere desiderata e che ha paura di desiderare, perciò non può fare a meno di farlo. Si veste senza troppe scollature, eppure molti la definiscono sexy, la più ambita del college; ha deciso di studiare letteratura perché le piace leggere, tutto qui. Un giorno si imbatte in un libro che inspiegabilmente non aveva letto: i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, testo considerato cool e particolarmente in voga tra gli studenti della Brown University. Così Madeleine decide di iscriversi a un corso di semiologia per pochi eletti. Il primo giorno si siede accanto a lei un tipo misterioso, una specie di ibrido tra un San Bernardo e un Brontosauro che mastica tabacco Skoal mentolato, sputando ogni tanto nel contenitore che si era portato dietro per sorseggiare caffè. Studia biologia, la filosofia è solo un interesse secondario.
Una volta lei lo becca tra gli scaffali della biblioteca alle prese con una ragazza ocheggiante: ‘Prova a pensarci dal punto di vista della mosca’… ‘Ok’, dice l’altra starnazzando… ‘Dal loro punto di vista noi ci muoviamo al rallentatore. Vedono l’acchiappamosche da mille chilometri. Le mosche fanno: svegliami quando quel coso si avvicina’. La teoria di Leonard sulla mosca domestica è collegata alla sua teoria per cui invecchiando il tempo sembra passare più in fretta: ‘È proporzionale: a cinque anni sei vivo da un paio di migliaia di giorni. Ma quando arrivi ai cinquanta ne hai vissuti circa ventimila. Perciò quando hai cinque anni un giorno sembra più lungo perché è una percentuale maggiore del totale’. Ecco come Leonard seduceva; le sue idee strampalate non erano mai noiose e con lui si poteva parlare di ogni cosa trovando in ogni cosa un dettaglio interessante. Ad esempio: ‘Lo sai come fanno i musulmani ad avere più donne? Per scaricarne una basta ripetere tre volte io divorzio da te, io divorzio da te, io divorzio da te!’
Madeleine – anche se l’autore, raffinatamente, non lo dice in modo esplicito – rimane subito affascinata da Leonard Bankhead e nel giro di poco si ritrova davanti a lui in un locale. Lui è l’esatto contrario dell’uomo che avrebbe dovuto incontrare e sposare sulla falsa riga dei suoi adorati romanzi vittoriani: cresciuto in una famiglia di alcolizzati, si presenta con una bandana azzurra sulle spalle e una folta chioma tenuta a coda di cavallo. E poi l’odore di quel tabacco è davvero insopportabile, e con un bacio lei percepisce un forte retrogusto metallico. Leonard ordina una porzione di torta di mele con una fetta di cheddar sopra, e si dilunga in una incredibile filippica sul mega sbaglio di lei, che non ha mai provato un binomio talmente delizioso. Madeleine si scompone un po’, ma ormai il suo Aut-Aut non ha più senso di essere: le ragioni pascaliane hanno vinto, e il cuore comincia a battere, e non si sa bene perché. Lei cerca di razionalizzare, e lo fa servendosi del libro di Barthes come un feticcio: lì l’amore viene decostruito passo passo, come il nastro di una cassetta che si riavvolge, cancellando ogni tentennamento dello spirito, l’angoscia dell’attesa, la gelosia, il desiderio inappagato. Si informa su Leonard tramite le sue coinquiline dalla lingua non corta, e viene a sapere che è un ‘genio’, uno ‘sciupafemmine’ e, in sostanza, un ‘pazzo’ capace di far baldoria tutta la notte e poi di chiudersi in casa per giorni senza fare niente, uno da cui stare alla larga, anche se si dimostra sempre simpatico e abile affabulatore. Inizia anche ad apparirgli un bel giovanotto, e una sera, dopo aver visto Amarcord, ci va a letto. Dopo tre settimane i due si separano perché lei gli dice ‘ti amo’ e lui, indicandogli un passo del libro di Barthes legge ‘la locuzione ti amo, una volta pronunciata, non ha più significato’: lei glielo scaglia sulla testa, si veste in fretta e furia ed esce sbattendo la porta (raccogliendo i Frammenti di un discorso amoroso con un gesto svelto e furtivo).
Arriva la cerimonia di laurea. Tutti in toga. Ma lui dov’è finito? Squilla il telefono: è per Madeleine. Si scopre che a Leonard dal secondo anno al College era stata diagnosticata una psicosi maniaco-depressiva. Aveva cominciato ad assumere dosi massicce di Litio, ma negli ultimi tempi aveva deciso di non prenderlo più; non usciva più di casa da quando si era lasciato con lei; chiamava tutti i numeri che aveva sulla rubrica trattenendo per ore orecchie che gradualmente avevano cominciato a tagliare corto o a non rispondere; sciorinava tutti i suoi problemi esistenziali, il fatto che non riuscisse a dormire, a preparare gli esami, il terrore di non laurearsi e di perdere la borsa di studio e, ultimamente, era paranoico e si inventava di volta in volta malattie di cui non capiva l’origine.
Originale è anche la figura di Mitchell. Personaggio hessiano: metà Narciso metà Boccadoro. Studia con passione e sucesso storia delle religioni e ha una certa propensione mistica; eppure si volta per strada non appena vede una bella passare. Il suo tutor lo convoca e gli propone di andare a Harvard: sarebbe disposto, in un caso come il suo, a firmare personalmente una lettera di presentazione. Tuttavia, a Mitchell non interessa la carriera accademica. La sua mente è totalmente ingombrata dall’idea di Madeleine, la sposa perfetta; e lui, d’altronde, sarebbe il marito perfetto: famiglia normale, inquieto ma senza eccessi, premuroso etc… Ma, si sa, non è l perfezione che fa innamorare: non è il ramo dritto, ma quello storto che sprigiona lo slancio poetico, la tensione oscura che si potrebbe definire amore. All’inizio del College si era accontentato di sdraiarsi per terra accanto al letto di Madeleine, nei pomeriggi in cui lei si sentiva abbastanza sola per farlo entrare. Chiacchieravano, e lui si voltava a pancia in giù per controllare le soventi erezioni spontanee. Madeleine si è messa con il suo acerrimo nemico, però. Allora Mitchell sceglie di partire con un suo amico in un lungo viaggio che lo porterà fino in India, alla casa di accoglienza di Madre Teresa. Nemmeno lì, però, scoprirà una prova concreta della propria fede in Dio. Da un punto di vista letterario, Mitchell è un personaggio collante: rappresenta l’equilibrio che, qualora si manifestasse, renderebbe impossibile l’unione tra gli altri due protagonisti. Alla fine, si riavvicina a Madeleine, le sta accanto, la sostiene in un momento di enorme difficoltà, ma proprio quando riesce ad ottenerla, lei si rivela come ramo dritto, non come ramo storto.
Madeleine, mentre Mitchell è in viaggio, è andata in Ospedale dal suo amato. I due si riconciliano e dopo un periodo limbico trascorso nel reparto di psichiatria, si trasferiscono a Pilgrim Lake, dove Leonard è stato assunto come assistente di laboratorio in un prestigioso centro di ricerca. Avevano già convissuto durante l’università, nel monolocale topaia di lui che lei, per vendetta, aveva ripulito da cima a fondo con suppellettili rosa shocking in attesa della sua dimissione. Qui però comincia a soffiare vento di matrimonio, e l’isola felice si rivela piuttosto un locus in-amoenus. A Leonard non piace il lavoro e il Litio lo costringe ad uno stile di vita che mal si concilia con quello di Madeleine, che sta aggiustando la tesi per fare l’application alla Columbia, e che vorrebbe uscire la sera, giocare a tennis, svagarsi un po’; mentre lui, come un Oblomov dagli occhi vitrei e il cervello altrove, sessualmente impotente e umiliato, preferisce cucinare pizza surgelata al microonde, piuttosto che lavarsi, radersi, vestirsi, e andare all’ottima mensa offerta dal centro di ricerca.
Passano i mesi e le cose sembrano cambiare: Leonard si è messo a fare sport, è dimagrito, ha ricominciato a leggere, il lavoro sembra pesargli di meno. Un giorno propone di andare a raccogliere ostriche, approfittando della bassa marea, e invita un sacco di gente per cena; un altro arriva a casa con sacchetti piene di caramelle colorate – ‘i colori dell’oceano’ – prende in braccio Madeleine, la porta a letto, e dopo il coito le chiede di sposarlo. Aut-Aut: ovviamente la risposta è sì.
Luna di miele: destinazione Francia. Pare che niente non fili liscio: Leonard è più brillante che mai, si sbizzarrisce a letto con le sue fantasie, fa sentire Madeleine una vera principessa; e, forse, entrambi trovano finalmente un po’ di serenità. Questo nuovo contegno, però, è dovuto a esperimenti che Leonard fa sulla propria persona, diminuendo progressivamente la posologia del Litio. Una sera, infatti, lui è sempre allegro, ma ha un lampo strano negli occhi, ordina Champagne in camera (e a Leonard non piace lo Champagne), si ubriaca e prende le pillole dal bicchiere pieno di bollicine. In seguito sguscia via e va a giocare d’azzardo con degli imprenditori svizzeri conosciuti per caso alla reception dell’albergo. Madeleine, disperata, lo va a cercare al Casino di Montecarlo, e lo trova con una cappa nera che si era comprato spendendo una cifra irragionevole a Parigi, i capelli tirati indietro con la brillantina e una faccia incipriata da vampiro. Lui ha perso tutti i soldi, e sfugge all’amata volatilizzandosi col suo mantello.
Siamo all’epilogo. Dopo essere stato nuovamente ricoverato a Marsiglia, Leonard torna in America e va ad abitare con Madeleine nella casa dei suoi genitori. Per Madeleine è un periodo decisamente non roseo: lui resta sveglio fino a tardi vegetando davanti alla tv, e lei lo aspetta rannicchiata dalla sua parte. Il Litio ha ricominciato a fare effetto. Leonard è di nuovo ingrassato, sempre più taciturno e fuma sigari in continuazione. Madeleine è stata ammessa alla Columbia e vorrebbe trasferirsi a New York con Leonard, che però indossa sempre solo i soliti calzoncini neri sformati, si muove il meno possibile e soffre di attacchi di panico quando è in mezzo alla folla; inoltre il suo stato d’animo è doppiamente frustrato: vivere con i genitori di lei è una prospettiva non meno deprimente di vivere con lei in una casa a New York da mantenuto disoccupato.
Estate. Una mattina Madeleine riceve una chiamata da un’amica che si occupa di immobili e che le dice di aver trovato un appartamento eccezionale, da bloccare quel giorno stesso. Stranamente Leonard si convince e insieme prendono il treno per la Grande Mela. Gli sposi visitano l’appartamento, e lui alla fine cede e dice sì. I due si siedono in un bar ad aspettare l’amica che deve sbrigare in ufficio le pratiche burocratiche. Madeleine ordina una porzione di torta di mela con una fetta di cheddar sopra. Leonard non trattiene le lacrime: ‘non ricordavo più, è passato tanto tempo’. Firmato il contratto, l’amica invita gli sposi ad una festa lì vicino. Madeleine si trascina dietro Leonard e ritrova gli ex compagni del College. Sorride e beve, un po’ felice, nell’afa della casa dei suoi nuovi vicini; si sente anche un po’ arrivata, ancora desiderabile come a quei tempi, forse. Leonard si rifugia nella stanza da letto dove trova Mitchell. I due parlano di filosofia, di misticismo, con stima reciproca; e con un ardore improvviso Leonard si dice pronto per ‘il salto kierkegardiano’; e fugge ancora. Appena Madeleine se ne accorge lo insegue, va giù nella Tube, scavalca con eleganza e senza biglietto la transenna: teme il peggio. Aut-Aut. Il treno sta per arrivare, Leonard è girato di spalle. Lei arriva proprio quando le porte si stanno per richiudere, lui si gira e prima di sparire nella metro le grida: ‘io divorzio da te, io divorzio da te, io divorzio da te!’.
La trama del matrimonio non è, banalmente, un romanzo sul matrimonio. Il matrimonio è l’espediente narrativo, ma il vero tema centrale è la solitudine. La solitudine come ricerca del senso; la solitudine come ricerca drammatica di uno scopo esistenziale soggettivo. La solitudine così come è vissuta da una ragazza romantica dell’alta borghesia americana; da un ragazzo introspettivo che cerca una forma di fede; da un ragazzo genialoide, gravemente depresso eppure violentemente attaccato alla vita. Eugenides decostruisce la decostruzione del romanzo classico con onestà nei confronti del lettore, nel suo stile acuto, bilanciando tristezza e ironia con tinte e odori a volte forti a volte tenui, scelti sempre con grande sensibilità artistica. Con questo romanzo l’autore restituisce al matrimonio e, soprattutto, alla folla di concetti e sentimenti che gli ruotano attorno, un ruolo estremamente originale nel panorama letterario contemporaneo.

L’Inesistente