José Saramago – Cecità

Agisci in modo da trattare l’uomo così in te come negli altri
sempre anche come fine, non mai solo come mezzo.
 
Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, 1788

Il disco illuminato di un semaforo, poi più niente: gli occhi precipitano in un mare di latte dove non si distinguono più contorni, ombre e colori. Il ‘mal bianco’ si diffonde rapidamente e tutto sembra precipitare in un’anarchia senza via d’uscita. Una disperazione cieca, è il caso di dire. Mani che si protendono verso il nulla, verso una voce (forse) benevola. Ma non c’è tempo per cercare amici. Il Governo ha predisposto una quarantena immediata, per tutti i ciechi, i contagiati e i possibili contagiati. Un ex-manicomio: file di brande senza cuscini, latrine destinate a emettere un fetore esponenziale, cibo che non arriva, persone care che non si trovano più. Questo è il quadro in cui si mescolano i protagonisti del romanzo di José Saramago.
Pennellate pastose su una tela acontestuale, squarciata, ridotta a pochi brandelli di tessuto. Ciechi senza nome, senza origine, senza speranza vagano per camerate in cui una volta non si era ciechi, ma semplicemente pazzi. Il primo cieco, la moglie del primo cieco, il ladro, la ragazza con gli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera: persone che si muovono in uno spazio improvvisamente pieno di ostacoli, di sconosciuti, di grida mai sentite. Lacrime, lamenti, frasi meccaniche di un megafono che ripetono ogni giorno le stesse istruzioni alla stessa ora, come se il tempo avesse ancora senso. E adesso ogni cosa produce un rumore più grande.
La cecità rende tutto ironicamente essenziale. Perfino l’etica, di cui Kant tra i primi ha postulato una sua possibile universalità, è ridotta all’osso; o meglio, alle ossa e alla carne. L’etica continua a porsi, nella sua problematicità, come necessità non relativa, come bisogno del corpo e dell’anima, non più razionale, ma irrazionale, come l’istinto che porta a spogliarsi dei vestiti sporchi per ricevere l’acqua dal cielo, che non si vede, ma si sente sulla pelle come una carezza ruvida e alleata. L’etica diventa la tensione che ristabilisce un rapporto puro tra l’uomo e la natura, e se i fondamenti della sua possibile universalità sono appannaggio della ragione, è un profondo, enigmatico slancio interiore, legato alle mancanze corporali più primitive, che fa affiorare nel reale la necessità di un’etica universale. L’etica rivela se stessa attraverso un’estetica istintuale della purezza.
Se fossimo tutti ciechi, cambierebbero i nostri sentimenti? Cambierebbe dunque anche l’etica che guida le nostre azioni? Ecco le domande da cui parte Saramago nel scrivere il suo romanzo. L’etica come insolubile problema tutto umano, è il perno della narrazione. L’etica come certezza e incertezza, come spazio mentale relativo e universale.
Per Kant l’etica non aveva alcun rapporto con i sentimenti, con quelle che lui definisce ‘inclinazioni individuali’: se il re dice ad x che deve accusare y di omicidio pur sapendo x che y è innocente, cosa succede? In x ‘parla’ la legge morale e gli dice che ciò che sarebbe universalmente giusto corrisponde al rifiuto dell’istinto di conservazione (un sentimento, appunto) e alla sottomissione di fronte all’ineluttabile verità dell’innocenza di y: x dovrebbe quindi rendere la propria volontà conforme alla legge morale rinunciando alla preservazione di se stesso, disobbedendo al re e compiendo la scelta razionalmente più giusta, sacrificandosi, donando la propria morte per la vita di chi è stato ingiustamente accusato: x sa immediatamente cosa deve fare per non ricadere nel torto, per non macchiarsi di ingiustizia. Eppure Kant stesso incorre in un cortocircuito. Se il tuo migliore amico bussa alla tua porta confessandoti di essere un omicida inseguito dalla polizia e pregandoti di nasconderlo, tu lo nascondi. Ma se dieci minuti dopo la polizia bussa alla porta e ti chiede se hai visto l’amico accusato di omicidio, tu cosa fai, cosa è più giusto rispondere? Tutta l’elucubrazione kantiana oscilla su questo sì o questo no, ma è un’altra storia.
La storia di Saramago è meno filosofica di quanto possa sembrare: è vero, non ci sono nomi propri e la narrazione pare un lungo apologo da decifrare. Tuttavia, l’autore ha voluto divertirsi, giocare abilmente con il lettore per condurlo a una soluzione morale che non c’è.
Nell’ex-manicomio la gente si organizza. Un gruppo di simpaticoni si è portato appresso armi e munizioni, e se queste mancano ci sono spranghe e bastoni: vogliono essere loro a comandare, vogliono essere i ciechi più potenti tra i ciechi, con la forza, per accaparrarsi più vettovaglie e ridicoli e vergognosi privilegi: chiedono donne dalle altre camerate, allestendo orge alla cieca. Ma un giorno (o una notte), schizzi di sperma si fondono a schizzi di sangue. La moglie del medico – guarda caso, un oculista – è inspiegabilmente rimasta non cieca. Ha portato con sé un paio di forbici, nella vaghissima speranza di poter accorciare la barba del marito per mantenere una forma invisibile di dignità coniugale. Presto segue la rappresaglia, la strage, e anche l’incendio, perché una donna prescelta per l’orgia aveva gelosamente conservato un accendino, la donna dell’accendino, e usa quest’ultimo per dare fuoco alle barricate di materassi accatastati per prevenire l’attacco. Una torcia umana si consuma così, crudelmente, banalmente, con violenta libertà.
I simpaticoni sono ridotti in cenere, le guardie sono andate via: ormai sono tutti ciechi, non resta che scappare dall’ex-manicomio in fiamme; alla ricerca, soprattutto, di qualcosa da mangiare. Alcuni si accasciano al suolo, sotto la pioggia scrosciante, lasciandosi perire. Altri –  il primo cieco, la moglie del primo cieco, il ladro, la ragazza con gli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera, il medico e la moglie del medico – decidono di riesumare le ultime forze e di cercare fortuna in quella che era stata la loro Città. Le strade sono affollate di persone che a tentoni si fanno strada tra cadaveri ed escrementi: tirano la testa indietro e aprono le bocche per ricevere qualche goccia di pioggia.
La moglie del medico incontra un cane che le salta addosso e beve le sue lacrime. Lacrime e pioggia. Il cane delle lacrime segue la comitiva fino a un vecchio negozio abbandonato, il nuovo rifugio dei sopravvissuti. La ragazza con gli occhiali scuri, una prostituta, vuole tornare a casa sua per vedere se ci sono ancora i genitori. I genitori non ci sono. C’è una vecchia con le chiavi che si nutre di conigli scuoiati vivi nel cortile del condominio. In cambio di qualcosa da mettere sotto i denti, lei preserverà le chiavi. E così farà, finché non la ritrovano distesa nel pianerottolo, rigida come una tavola da surf, con le chiavi nel pugno. La vecchia con le chiavi è morta sola, ma ha preservato le chiavi. Muore porgendo al nulla le chiavi di cui era depositaria.
La comitiva di ciechi si riunisce a casa del medico, poiché la moglie del medico è l’unica in grado di vedere. Mangiano scatolame e brindano alla vita con un bicchiere di acqua minerale, seduti in cerchio nel salotto al lume di una lampada ad olio, dopo essersi depurati sotto la pioggia in terrazza. La moglie del cieco va a caccia di cibo. Trova un magazzino, ma poi si accorge che tra gli scaffali immersi nel buio sono stipati carogne in decomposizione. Dopo aver vomitato più volte, si ritrova barcollante in una chiesa: visione finale: tutte le statue e tutti i dipinti hanno la faccia bendata con nastri bianchi, eccetto una figura, quella di santa Lucia che porge i suoi bulbi oculari su un piatto d’argento. La moglie del medico torna trafelata alla sua abitazione e il mattino dopo la Cecità, miracolosamente, scompare.
Saramago scrive un romanzo sull’assurdità dell’esistenza: non c’è salvezza, la Cecità non è una malattia curabile: è il disco lampeggiante di un semaforo, va e viene, fa parte dell’uomo, come dell’uomo fa parte l’eventualità di una purificazione; la Cecità non è circoscrivibile a un male preciso, di cui ci si può sbarazzare stabilendo la cura; la Cecità è un paradosso intrinseco all’essenza dell’etica, che per l’autore ha un fondamento squisitamente estetico, sensibile, ma ha anche bisogno di una formalizzazione razionale, pratica: ‘È meglio indossare vestiti puliti su corpi sporchi, che vestiti sporchi su corpi puliti’, dice la moglie del medico, santa Lucia non per devozione, ma per puro caso.

L’Inesistente