Fuori dal quadrato

La madre entrò nel quadrato a un’estremità della rete da pallavolo, che tagliava sospesa in obliquo il cortile di cemento dell’asilo accumulando il giallo pomeridiano in ogni sua cordicella, finché una folata di vento, passando attraverso quei fori, non liberava uno stormo di luci schiumose come bolle di sapone, ma cubiche, che fluttuavano nell’aria sulle teste dei bambini e delle suore e  sui tetti di periferia, e a volte beccavano in pieno un piccione in volo che, abbagliato o soffocato, precipitava sulla scia.

Lei indossava un abito Armani verde e, nel campo visivo del figlio, sembrava una lucertola infinita per cui era impossibile pensare un barattolo abbastanza grande da contenerla e che lei non fosse in grado di spaccare scalciando con i tacchi, mentre si avvicinava facendo attenzione a non inciampare in un piccione, che forse avrebbe fatto prima a mangiare, e il bambino, anche se erano due ore che, imbronciato, sedeva per terra all’angolo opposto a quello da cui era entrata la madre, con le ginocchia non troppo medicate aderenti al petto, adesso si sentiva invasato da una strana quiete e voleva dimostrarle che le suore non avevano ragione, quindi cercò di darsi un tono riavviandosi il ciuffo impiastricciato di terra e di moccio e spiaccicò una lacrimuccia rimasta lì sulla guancia graffiata di rosso come una biglia in attesa.

Una suora fermò la madre nel punto medio della diagonale descritta dalla rete da pallavolo nel quadrato sulla cui superficie i piccioni continuavano a piovere sbrilluccicanti dal cielo, e anche se l’apparecchio per cui si sentiva un potentissimo cyborg, ma che per gli altri bambini era motivo di scherno, perché era sordo e muto e quella cosa all’orecchio era strana, aveva le pile scariche, capì dal labiale che, se non era nei guai, le cose si mettevano male.

All’interno del quadrato, precisamente là dove era steso un telo di gommapiuma blu per indicare la zona adibita ai lavori in cartapesta, una bambina lentigginosa dalle trecce chilometriche si era vantata della sorpresa del suo uovo di Pasqua, una bussola d’argento che, diceva, era stata fatta dai maghi e portava fuori dal quadrato in un luogo strapieno di bambole – e i draghi? – provò a chiedere lui emettendo suoni disarticolati, mimando speranzoso un mostro alato sputafuoco con le dita sgocciolanti Vinavil nell’aria, e per tutta risposta lei sbuffando si girò di spalle, ma il viso di un’altra bambina si distorse in una risata meschina, e capì che lo stavano prendendo in giro e decise di punirle rovesciando il secchio della colla sui loro grembiulini rosa, ma le due amichette si vendicarono, Pippi Calzelunghe non ci pensò su due volte e gli stampò la bussola d’argento sulla guancia, a inconfutabile dimostrazione che le femmine sono più sveglie dei maschi.

Ricevuto il colpo in faccia, la suora aveva rincarato la dose spingendo il bambino per terra, che così si era sbucciato le ginocchia, urlandogli dietro improperi che lui, avendo l’apparecchio scarico, non sarebbe mai stato in grado di sentire, ma girandosi scorse le due bambine che piangevano, le labbra della suora contorcersi in un rancoroso ave Maria piena di grazia il Signore è con te, e pianse anche il bambino, pregando che quel Signore fosse un bellissimo drago e tradisse Maria, almeno una volta, per stare con lui e liberarlo dal silenzio.

Aveva aspettato quel drago invano, invece era arrivata sua madre, che a un gigantesco rettile neanche troppo vagamente somigliava, e che adesso con occhi voraci ascoltava la versione della suora che le raccontava bugie ma, si sa, le bugie non hanno le ginocchia sbucciate, e a volte bisognerebbe sorridere invece di ridere e sforzarsi di trovare le parole giuste prima di parlare, ammesso che il Signore o Maria piena di grazia abbiano voluto concederti questo dono, e sua madre, che di solito non lo difendeva mai, che gli dava del delinquente perché non stava mai fermo con la palla e perché, a suo dire, ne combinava sempre una più del diavolo, e che addirittura gli rinfacciava di essere stato la causa della separazione dal marito, che puzzava di vecchio ma in fondo era una brava persona, e di un irrimediabile corollario di ambizioni infrante nel corso dei suoi quattro anni e mezzo di vita, oltre ad aver contribuito al suo insuccesso accademico, ai suoi calcoli renali, e alla morte metafisica del suo primo amore, ebbene, sua madre lucertola infinita lo amava con tutto il cuore e, in quella selva di piccioni uccisi dalla luce e precipitati a grappoli dal cielo sul giardino di cemento dell’asilo, credeva più a suo figlio sordomuto che alla parola del Signore, benché il Signore non fosse un drago e quelle non fossero parole degne di nota, inoltre l’ultimo regionale veloce stava per partire, perciò non ascoltò la fine del discorso, ma circonfusa da cubi di luce, tirò uno schiaffo alla suora e trascinò il suo bambino fuori dal quadrato.

L’Inesistente
Credits: Piet Mondrian, Composizione n11 in rosso blu nero e giallo, 1929