La scatola di fiammiferi roteava nella sua mano sinistra: una pozzanghera lattiginosa in 3D messa alla berlina, dietro al finestrino del guidatore; un parallelepipedo sfigurato da un segreto; una mucca rettangolare con destinazione fatale impressa sulla pelle, tonta e anche un po’ puttana. La strada, immensa, si lasciava violare dalla luce che, spiaccicandosi sulle cose come una tempesta di guance cadaveriche, trinciava la cima di palazzoni già monchi e bombardati a grappolo. Forse avrebbero dovuto fare benzina; lui non era mica sicuro che sarebbe bastata, ma chissà cosa tramava il suo cervello nerd in guazzetto di Valium, schermato da quei raccapriccianti occhiali da sole che forse, adesso che la Terra era in guerra con i terrestri e prossima a una glaciazione artificiale per rifornire d’acqua il pianeta alfa, non sarebbero più stati alla moda, ammesso che il concetto di moda fosse ancora esistito nel lessico mentale delle nuove generazioni Let it be.
– Perché siamo in giacca e cravatta?
– Mai sentito parlare di dress code?
Pirla di un clone, pensò.
Il commesso, nonché clone e coniglio nero traditore, sfinito dalle angherie subite dal folle bullo paramedico, gli sedeva accanto, il braccio sano ammanettato a una protuberanza del cruscotto, una sorta di ciambella di basalto che non aveva l’aria di essere un gadget di serie. Lui gli aveva iniettato un non specificato antidolorifico dopo averlo lavato e vestito come un pupo nella microdoccia al secondo piano dello store che si erano lasciati alle spalle in fiamme, prima di montare sulla Ferrari verde metallizzata forellata dagli spari e sfrecciare, forse, verso l’indirizzo scritto sulla scatola di fiammiferi.
– È scritto qui sopra, tranquillo, è un posto che conosco, più o meno. Ci sono già stato prima che tutta questa storia prendesse una brutta piega.
– Ci sei stato con tua moglie?
Lui si portò i fiammiferi alla bocca e per qualche secondo li strinse tra i denti, assaporando lo zolfo e strofinando delicatamente il polpastrello del pollice sul lato inferiore della scatola, quindi riprese a farla roteare fra tre dita, tenendo l’altra mano ben salda sul volante.
– Sì, ci sono stato con mia moglie e con i miei bambini, una sera, ma era tutto abbastanza diverso, come puoi capire.
– Cosa dovrei capire… all’epoca eri ancora mentalmente sano?
– Non dico questo; dico che questa storia della glaciazione artificiale non era ancora risaputa, o meglio, è un’idea che mi è venuta successivamente, ma speravo funzionasse da copertura passeggera: avevo ammazzato un pesce grosso e dovevamo liquefarci in acquari alternativi, non so se rendo l’idea.
La strada era diventata sempre più stretta, il paesaggio procedeva ad ampie spirali verso l’alto. Il commesso, intorpidito, aveva la salivazione azzerata.
– Vuoi dirmi che l’operazione Let it be… Vuoi dirmi che è una… cazzo, è una tua idea?!
– In un certo senso sì, giovanotto, volevo distruggere questo pianeta e trasferirmi su un altro, farmi una nuova vita eccetera, ma il piano richiedeva risorse, finanziamenti di grandi banche, roba pesante, e mia moglie ha cominciato ad andare nel panico e mi ha mollato e adesso mi rivuole, dice che può darmi un banner per raggiungerla sul pianeta alfa, ci credi?
– E tu ci vuoi tornare?
Lui ride, tossisce, porta la mano con la scatola di fiammiferi al volante e con l’altra si abbevera a una borraccia di birra corretta al Valium. Secondo te, se volessi tornare da lei, sarei ancora sulla Terra, in questa macchina di merda, a
parlare con te?
parlare con te?
Il commesso non risponde, alza improvvisamente gli occhi narcotizzati sul paramedico…
– Tu sei… cazzo, sei tu che hai ripopolato la Terra di conigli neri dopo aver incendiato tutto?
– Adesso basta domande: abbiamo un problema.
Il paramedico rallenta fino a fermare la macchina sul ciglio di una curva; alza la borraccia e con due dita indica la sagoma di un gigantesco mammifero che si staglia all’orizzonte: guarda laggiù. A circa nove km, tra un precipizio e un’altissima parete metallica convessa, una mucca colossale stramazzata al suolo ostruisce il passaggio; dalla bocca le esce uno spesso rivolo di sangue, che si addensa sull’asfalto come su una tavolozza; accanto all’animale giace un rullo da imbianchino; sul dorso luccica ancora fresco il numero 54.
L’Inesistente
Credits: Salvador Dalí, Der Stier ist tot, 1970